#Duspicci su Stadio Franchi e tranvate varie
Non uno stadio, ma un’agonia più che decennale. Le questioni relative al mitologico nuovo impianto della Fiorentina sono passate al vaglio di due proprietà, svariate amministrazioni comunali e provinciali, tre presidenti di regione, sei presidenti del consiglio e sette governi nazionali, con almeno quattro (e ci sta che me ne dimentichi qualcuna) location possibili. Castello, Novoli-Mercafir, Campo di Marte, Campi Bisenzio, nomi che giustamente dicono poco a chi non è della provincia di Firenze, e al massimo strappa l’ennesimo, abusato ma sempre legittimo “i toscani hanno rovinato questo paese”.
Facciamola breve, e non scorriamo troppo questo allucinante percorso urbanistico-sportivo-amministrativo (peraltro partito con una messa sotto sequestro anni fa della prima area prevista per il nuovo stadio). In questi giorni il Ministero dei Beni e Attività Culturali e Turismo ha risposto alla richiesta di chiarimenti inoltrata dalla ACF Fiorentina, relativamente ai limiti e vincoli pratici per una ristrutturazione dello Stadio Artemio Franchi. Il Franchi è sottoposto a vincolo architettonico dalla Soprintendenza alle Belle Arti, in quanto considerato “monumento storico” per essere uno dei migliori esempi di architettura razionalista anni ’30. All’epoca, una struttura assolutamente all’avanguardia, con l’elegante pensilina priva di sostegni intermedi a copertura della tribuna e con le famigerate “scale elicoidali” delle curve quali esempi delle raggiunte capacità ingegneristiche sull’uso del cemento. In sintesi, il MiBACT ha chiarito che sì, il Franchi si può ristrutturare, ma questi elementi (più le curve, probabile verso oggetto del contendere, e la Torre di Maratona) non possono essere toccati. Quindi non si può, com’era nelle intenzioni di Commisso, spianare più o meno integralmente l’area e riedificare un nuovo stadio. E allora addio al Franchi, come seccamente comunicato dalla società, in favore probabilmente di Campi Bisenzio, con il Franchi lasciato in balìa della giunta Nardella che ne ha trionfalmente annunciato un restyling d’avanguardia a spese del comune, pur sempre proprietario dell’immobile.
Non facciamo le anime candide: la questione stadio era (ed è) uno “sporco affare” sia per i Della Valle che per Rocco Commisso. Si fa per la grana, non per la gloria. E per parlarci ancora più chiaro, le varie versioni del progetto DV al Mercafir erano legate a doppio filo con il famigerato ampliamento dell’aeroporto di Firenze, ovvero ad una grossa operazione edilizia (speculativa?) che esulando dalle limitanti visuali meramente sportive non poteva che destare perplessità in una parte della cittadinanza, poco convinta (leggi anche: in varie parti, decisamente contraria) a quella che appariva come una sterminata colata di cemento in una zona che forse necessiterebbe piuttosto di azioni di tutela ambientale. Certo, per il momento si può pensare (forse) che l’opzione Campi Bisenzio non sia uno scempio come quella del Mercafir, ma da ignorante mi torno a porre l’osservazione più ovvia: se viene fatto uno stadio nuovo, che si fa di quello vecchio? O anche: a che cazzo serve avere due stadi?
In questo senso, personalmente mi lasciano allucinato le decisioni del Ministero e Soprindentenza (ma non mi stupiscono, dato che in fondo l’ente è sempre coerentemente deciso a considerare quasi intoccabile il fu “Stadio Berta”) nonché le sparate del Comune, persino al netto delle varie pressioni che potrebbero aver ricevuto da chi ha esultato per il salvataggio del Franchi, dal FAI a varie archistar alle più disparate associazioni. Di fatto, l’ennesima presa di posizione del MiBACT, comunque conscio (di nuovo, non facciamo le anime candide) dell’orientamento di Commisso sulla questione, condanna al quasi inutilizzo una struttura che a parole dice di voler tutelare e il cui stato materiale è tutt’altro che eccellente, cosa per il quale è difficile non vederne i primi responsabili (per quanto si potrebbe cavillare sulle colpe del suo storico usufruttuario, ovvero la Fiorentina). Il tutto, al prezzo annunciato del trasloco della casa Viola fuori dal comune, sempre a proposito della tutela del patrimonio socio-culturale di una città. Sì vabbè che palle il calcio allora mettiamo il calcio storico a Fucecchio e il Palio di Siena a Grosseto. Ah no?
E la società? Notava il giornalista Massimo Basile (alias @424basilstreet), sempre ben informato sugli affari viola, che la Fiorentina non ha allegato alle domande inoltrate al ministero le proprie valutazioni di sostenibilità economica, precisando invece nella richiesta di informazioni la natura “non vincolante” delle stesse rispetto a qualsiasi iniziativa di ristrutturazione o sostituzione edilizia. Eppure, stando al testo della nuova (discutibile) legge sugli stadi, proprio una valutazione di tipo finanziario avrebbe, per così dire, messo spalle al muro il Ministero rispetto alle tutele dei vincoli architettonici. Insomma, sembra esser mancato l’affondo, e questa forse apparente indecisione della società potrebbe anche far pensar male sulla sua volontà di investimenti a medio-lungo termine. Ancora, Antonio Cunazza di Archistadia sostiene che per, quanto le restrizioni ministeriali non siano l’ideale per rendere fattibile un progetto di trasformazione del Franchi, l’esempio del dall’Ara sia la prova di come la via rimanga percorribile, per quanto altre opinioni ritengano comunque troppo compromissorio della delicata unità architettonica dell’impianto qualsiasi intervento. Di nuovo, forse mancano i mezzi, forse la volontà.
Mentre la telenovela prosegue, continuano i magri risultati sul campo dei Viola (tritati 6–0 dal Napoli), invischiati nella lotta retrocessione e sempre più palesemente coinvolti in una spirale autodepressiva al quale non sembra esserci rimedio. Rimedio che al momento non sembra destinato ad arrivare dal mercato, statuario e immobile come le scale elicoidali tanto care all’architetto Nervi. In stretti termini di appeal, le perplessità sui reali obiettivi della proprietà sono in crescita vertiginosa e l’entusiasmo scaturito all’epoca dall’arrivo di Rocco Commisso si è ormai dissolto. La questione stadio rischia di passare miseramente in secondo piano se non di essere percepita come uno specchietto per le allodole, tantopiù in tempi balordi come questi dove gli stadi sono, per causa di forza maggiore, nient’altro che cattedrali (nel) deserto.